New Beginnings: Arrivo [Digimon Fanfic]

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    La stanza iniziò a farsi familiare, mentre avanzava a tentoni nell’oscurità. Si stava muovendo su quella che immaginava essere la parete destra, ma era difficile a dirsi: l’oscurità lo disorientava, e quasi non riusciva a distinguere le varie direzioni.

    Avanzando colpì con il piede un mobile, o comunque un oggetto di legno, lo riconobbe dal suono. Mise le mani avanti, e si rivelò essere un comodino. Era piuttosto basso, anzi, quasi si doveva accucciare per toccare la superficie.

    Mosse leggermente le mani e sentì il calore di una lampada molto vicino. Eppure della sua luce non c’era traccia. Tentò di avvicinare la mano ancora di più alla lampada, per capire se fosse in un sogno o meno, o se si fosse sbagliato, ma non fece altro che bruciarsi le dita.

    "Ah, merda…"

    Il ragazzo riuscì a far scivolare le mani sul cassetto del comodino e aprirlo. Iniziò a tastare il fondo, e presto trovò qualcosa che lo punse. Riuscì a prenderlo in mano: aveva una forma strana, curva ma piena di piccole punte, come se avesse dei piccoli triangoli attaccati sopra. Lo portò al viso, e la poca luce a disposizione lo aiutò nel riconoscere l’oggetto: era un piccolo giocattolo a forma di dinosauro, per precisione uno stegosauro.

    Anche io ne avevo uno simile…

    Pensò il ragazzo, riponendo il giocattolo al suo posto, chiudendo il cassetto e continuando ad avanzare. Subito, però, colpì qualcosa con un ginocchio, e cadde su qualcosa di soffice.

    Un letto?

    Il ragazzo aveva ragione: era atterrato su un letto. Uno piccolo, intendiamoci, molto piccolo. Tentò di girarsi per vedere quanto fosse piccolo realmente, ma quasi non ci stava solo di spalle, figuriamoci di lunghezza. Sembrava il letto di un bambino molto piccolo.

    Sono in una camera da letto, e fin qui ci siamo. Ma… perché?

    Il ragazzo non aveva ricordi delle precedenti dieci ore. Aveva però un immagine impressa in mente: un piccolo occhio bianco alla fine di un vicolo. Ricordava che stava tornando da scuola, stanco, dopo aver quasi finito il suo progetto. Ma dopo quello era tutto vuoto, tutto oscuro, come quella stanza.

    Un violento pugno allo stomaco lo risvegliò dai suoi pensieri: subito si rivoltò a terra, dalla parte opposta del comodino, sputando sangue sul pavimento. Aprì gli occhi e vide che il suo sangue emanava una luce scarlatta, quasi accecante. Si girò per vedere chi fosse stato, ma non vedeva nulla, non c’era nulla in quella stanza. Non c’era neanche un rumore, se non quelli che produceva lui stesso.

    Che diamine mi sta succedendo? Sto sognando?

    Il ragazzo si rimise in piedi, e continuò ad avanzare. Improvvisamente riuscì finalmente a vedere qualcosa: tre piedistalli lo chiamavano, dal fondo della stanza, coperti di una luce scarlatta, simile a quella del suo sangue.

    Il primo era visibilmente di legno, ma aveva un colore strano: grigio. La superficie sembrava muoversi, cambiare in continuazione, come se fosse un fiume in piena, che modellava e rimodellava il terreno a suo piacimento, caoticamente. Sopra al piedistallo levitava una piccola goccia di sangue. Lo riconobbe, in qualche modo. Era come se fosse parte di se, come se fosse parte del suo essere umano, quella goccia. E allo stesso tempo quel fiume gli ricordava di uno dei concetti della vita: dettata dalle proprie decisioni, ma incontrollabile.

    Il secondo era fatto di uno strano materiale. Sembrava tecnologico: anch’esso si muoveva, ma sembrava seguire come un pattern, un algoritmo, una sequenza. Era controllato, si, ma monotono, perpetuo. Sopra di esso vi era un oggetto strano: non aveva una forma ben precisa, ma quella più vicina sarebbe stata una V. Sembrava anche avere un display, di colore grigio, mentre l’esterno era come cangiante: non aveva un colore vero e proprio.

    Il terzo era fatto di cristallo, completamente trasparente. La luce si rifletteva al suo interno, lanciando strani riflessi scarlatti all’esterno. Sopra di esso vi era una chiave, poggiata al muro. Non sapeva perché, ma gli ricordava che lui era parte di qualcosa di esclusivo, parte di quella sensazione chiamata vita, parte di mille segreti e mille bugie, parte di mille situazioni, conversazioni, amicizie, amori… gli ricordava che aveva qualcosa da perdere.

    Si avvicinò, lentamente. Allungò le mani, e prese...



    Edited by ¥aŠ - 29/9/2016, 22:09
     
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    Il ragazzo si era avvicinato al primo piedistallo, un po' impaurito da tutto quello che stava accadendo. Nonostante questo lo raggiunse con un passo veloce, impulsivo, che spezzò il silenzio che si era creato pochi secondi prima. La goccia si mosse, come se volesse rispondere al suo movimento. Adesso gli era proprio davanti, e finalmente riusciva a vedere anche le sue mani e il suo corpo: era caldo, vicino, umano, al contrario delle altre due opzioni, quel piedistallo. Lo sentiva, dentro di se, che era quello giusto.

    Fece un'altro movimento, brusco, spezzando il tempo nuovamente, e improvvisamente la goccia era poggiata sulla sua mano, ma non si comportò come un liquido, e, invece, rimase ferma, bloccata a mezz'aria.

    Avvicinò il volto alla goccia, ma per un breve attimo i suoi capelli neri, fluenti, gli coprirono il volto. Li tolse con la mano destra, e notò che aveva una benda, macchiata, che gli copriva il palmo. Non ricordava di aver mai avuto una ferita simile, fino a qualche momento prima. Ma forse era stato solo disorientato e confuso da quella strana stanza.

    All'interno di quella goccia lo vide di nuovo. Vide quell'occhio, bianco, sempre vigile, che sembravano perdersi in un orizzonte invisibile, senza sosta. Lo vide per un attimo, e poi scomparve, con un riflesso, un riflesso dei suoi occhi, sulla goccia scarlatta: aveva gli occhi di un blu mare, che, infinito, si estendeva su tutto il mondo.

    Nel momento, il ragazzo chiuse la mano sinistra, quella proprio sotto la goccia stessa.

    E'... fredda?

    Sembrava come se il braccio intero si stesse per congelare. Ma non lo fece. Era solo una sensazione, ma significava tanto. Il ragazzo aveva capito che non era in un sogno. Aveva finalmente un appiglio, anche se piccolo, al mondo: una sensazione esterna, diversa.

    Non capisco... come fa a essere freddo? E'... sangue, lo sento, anche l'odore è quello...

    Riaprì la mano, con fatica: era come se non potesse più sentire niente, con quelle dita. Non stava usando il tatto, no... sentiva i recettori del dolore attivarsi, uno per uno, mentre districava le articolazioni, tentando di guardare nel suo palmo. Era come se il tempo fosse stato rallentato, per un attimo.

    L'occhio era ancora lì, nella macchia di sangue. Era freddo, si, ma stava sfrigolando sul palmo della mano, come se fosse lava. Al contempo, però, aveva l'odore e l'aspetto del sangue rappreso da tempo.

    Lo fissava, l'occhio bianco, ma non capiva. Anche questa volta riuscì a vederlo solo per un attimo, ma era tutto più lento. Sembrava di averlo guardato per una giornata intera. All'improvviso, un colpo di tosse. Quella tosse era strana, però. Non stava male, no, c'era qualcos'altro. Riusciva a sentire il sapore di ferro sia in gola che in bocca. Non aveva semplicemente tossito, era sangue quello che stava sputando. Si coprì il volto con la mano bendata, coprendola di sangue fresco.

    Tossì tre volte e, finalmente riuscì a ricomporsi. Sentiva ancora lo sfrigolare del sangue sulla mano sinistra, ma adesso sembrava come se il rumore provenisse anche dal suo braccio... Guardò il palmo, e questa volta non vi era più una semplice macchia incoerente: sembrava essersi formato, come per magia, un simbolo.

    Cinque rossi cerchi concentrici erano adesso al centro della mano sinistra: dall'ultimo centro, dei veri e propri fiumi di sangue scorrevano sulla sua pelle, salendo per il suo braccio. D'istinto, il ragazzo si alzò la manica: era come se stessero scavando attraverso la sua pelle, e già erano arrivati alla spalla. Il ragazzo tentava di trattenere le grida di dolore, digrignando i denti, chiudendo gli occhi, e quasi ne lasciò scappare uno, quando finalmente il peggio cessò.

    Riaprì gli occhi, e di nuovo la stanza era cambiata: era davanti a uno specchio. Poteva vedere i fiumi di sangue scorrere per il suo corpo, come per modellarlo: arrivavano fino al suo collo, dove finalmente finivano. Anche sul suo collo c'erano cinque linee, che, come una sciarpa, lo avvolgevano, in quel freddo bruciore.

    Si guardò meglio: aveva gli occhi blu, ma sembravano come essersi spenti, e la loro vivacità era svanita.

    Dov'é... il mare?

    Era vestito elegante, quasi come se fosse appena andato a un ballo, o a una cerimonia. Lo smoking nero era lacerato all'estremità delle maniche: sembrava come se fosse caduto su qualcosa di tagliente, forse quella era la causa della sua ferita all'altra mano. I bottoni erano tutti slacciati, e la camicia bianca che potava sotto era appiccicata al suo petto, bagnata da sangue e sudore. I suoi pantaloni erano messi meglio, mentre la cravatta bluastra che aveva addosso sembrava essere stata tagliata con un paio di forbici. La staccò, con la mano destra, e la mise da parte. Le sue scarpe erano eleganti, ma non sembravano molto costose, al contrario del resto del suo vestiario.

    Cosa stavo facendo?

    Si domandò da solo il ragazzo, pensieroso. Il dolore lancinante sembrava averlo disorientato ancora di più. Guardò meglio il suo braccio sinistro sullo specchio: avvicinò la mano, per scoprire che tra i cerchi c'era una stringa di numeri in binario.

    01000001 01110100 01101100 01100001 01110011

    Al centro, notò che c'era un'altro simbolo: era molto simile, di forma e dimensione, alla goccia, ma quando avvicinò la mano allo specchio ancora di più per guardarlo meglio, vide l'occhio bianco per l'ennesima volta.

    In un attimo, dal suo riflesso apparve un'altro braccio, che lo prese per la camicia, trascinandolo all'interno.

    Era sempre più difficile non pensare al fatto che tutto fosse un'allucinazione, un sogno, eppure il dolore al braccio persisteva. Dall'altra parte, si ritrovò a fluttuare in una gigantesca galleria, dalle pareti dorate. Guardandole meglio, il ragazzo capì che erano formate da numeri, che, lentamente, si muovevano, sia in senso antiorario che in senso orario, formando giganteschi cerchi attorno a lui. Inizialmente il suo corpo reagì a tutto ciò levitando, ma presto prese il momento necessario per iniziare a muoversi, sempre più veloce, verso quello che sembrava un vero e proprio portale per il paradiso: era una gigantesca apertura, così lucente che il ragazzo per un attimo pensò di essere diventato cieco. Ma due immagini lo rassicurarono: vide, questa volta, due paia di occhi. I due più lontani da lui erano gialli, dorati, come quelle pareti. I più vicini erano invece grigi, tendenti al verde. Tutti e due ebbero come un effetto calmante, che quasi gli fece dimenticare della sua situazione. Gli sembrava di essere in un altro mondo.

    La grande apertura si faceva sempre più vicina, e presto le pareti scomparvero, così come gli altri occhi.
    Rimaneva solo lui, in un eterna distesa bianca.

     
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    Subject 01
    ---Legal Name: [DATA EXPUNGED]
    ---Surname: Fairfield Mourn
    ---Birth Name: [UNKNOWN]

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    ---Birth Place: Trøllanes, Scotland
    ---Residence: Trøllanes, Scotland

    ---ENTRANCE Portal Location: [DATA EXPUNGED]


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    Era tutto fermo, e quasi ogni secondo sembrava un'intera era. L'eterno silenzio iniziò subito a echeggiare tra le sue orecchie.

    Perché il silenzio è così... così confuso, così rumoroso? Perché il silenzio ha più forza delle parole stesse?, pensava il ragazzo, tenendosi la testa tra le braccia e chiudendo gli occhi: il silenzio era così forte che presto avrebbe potuto sentire un rivolo di sangue scendere dalle sue orecchie e bagnare le maniche dei suoi vestiti.

    Finalmente, dopo un'agonizzante attimo, il silenzio finì, e fu invece rimpiazzato da voci familiari, che lo chiamavano.

    Aprì gli occhi. Si guardò dietro, ma la grande distesa non era scomparsa. Davanti a lui, invece, vi era un gigantesco schermo, che si estendeva, all'infinito, verso la sua destra e verso la sua sinistra. Proiettava delle immagini, così familiari al ragazzo, eppure così distanti: sembravano come degli spezzoni della vita di qualcuno, che si ripetevano in continuazione. Riuscì a concentrarsi, e sentiva anche la sua, di voce, tra tutte quei rumori e quelle grida: e sentiva i pensieri del "protagonista" passargli attraverso la mente, come un coltello.

    Ma di quelle memorie non aveva ricordi, per quanto fosse paradossale.

    Chi... di chi sono queste... queste memorie?

    Pensava al suo passato, agli anni passati con i suoi amici, ma piano piano, flebilmente, le memorie che stava guardando iniziavano a fondersi, mescolarsi alle sue, e la sua mente iniziò a dolere, e sangue ritornò a sgorgare dalle sue orecchie. Con le mani tra i capelli, il ragazzo, disperato, iniziò a piangere.

    E, al cadere di una goccia sul terreno, le voci si fermarono.

    Proprio davanti a lui vi era un bambino. Anche lui piangeva, ma non per dolore o per disperazione, ma per solitudine. Il ragazzo non riuscì a capirlo all'istante, se non nel momento in cui, alla sua vista, il bambino si girò, e iniziò a correre via. Si alzò allungando un braccio nella sua direzione, tentando di fermarlo, ma oramai era troppo tardi.

    Lo guardò fuggire, e piano piano scomparire, con le lacrime agli occhi. E all'improvviso, quando finalmente non riusciva più a vederlo, un pensiero lo prese alla sprovvista: il bambino era stranamente molto simile a lui.

    Ancora scosso dall'esperienza precedente a quel breve incontro, il ragazzo si sedette. Sfinito, si lasciò andare al pianto, e si rannicchiò sul suolo.

    Eppure... quegli occhi erano neri, come la pece...

    Si addormentò, tentando di riordinare i suoi pensieri, senza però ottenere alcun successo.

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    ---Legal Name: Dominick
    ---Surname: Fairfield Mourn
    ---Birth Name: Dominick

    ---Age: DRONE CALCULATED | 22

    ---Birth Place: Trøllanes, Scotland
    ---Residence: Trøllanes, Scotland

    ---ENTRANCE Portal Location: Edinburgh, Scotland (United Kingdom)



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    Svegliandosi, il ragazzo non aprì gli occhi. Si svegliò perché aveva sentito come un piccolo ago pungerli la pelle sulla fronte. Alzò istintivamente un braccio, toccandosi il luogo dove sentiva il dolore persistere, e le sue dita si bagnarono. Leccò il suo indice, e un forte sapore di ferro lo svegliò completamente.

    Intorno a lui sabbia. Il sole splendeva sopra la sua testa.

    Ma era ancora sulla stessa barca.





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    E sulla stessa barca vi era anche Zoey.

    Al contrario del ragazzo, Zoey era riuscita, in qualche modo, a mantenere le sue memorie mentre entrava nella stanza grigia. Lei, guidata dalla ragione, per qualche ragione aveva scelto quello oggetto dalla tecnologia a lei sconosciuta. Lo teneva in mano, circondata dalla sabbia. E quasi si pentì della sua scelta.

    Non posso esitare adesso... Oramai ho scelto, devo andare avanti. Questo caldo mi ucciderà se rimango qui...

    Tra i tre arrivati a Digiworld quel giorno, Zoey era sicuramente quella più stabile mentalmente.

    Era riuscita ad evitare qualunque danno fisico fino a quel momento, ed era rimasta lucida tra tutti quegli avvenimenti illogici. Aveva tentato, nella stanza bianca, di capire il significato di quanto stesse accadendo, ma le informazioni erano così poche che non era riuscita a ricavare nulla.

    Dopo aver fatto la sua decisione, aveva anche lei visto altre due paia di occhi mentre viaggiava a sua insaputa tra i due mondi, quello umano e quello digitale. Inizialmente si era convinta che fosse solo un miraggio, un'allucinazione, ma nella stanza bianca aveva capito che c'era qualcun altro, o comunque qualcos'altro. Aveva intuito che quelle memorie, quelle che vedeva sul grande schermo, non erano le sue, ed era riuscito a contrastarle, pensando ai momenti più belli della sua vita. Aveva capito che c'era stato qualche specie di errore, qualche calcolo sbagliato.

    E un piccolo mostriciattolo glielo confermò. Quasi sembrava una palla, ma riusciva a muoversi con una grossa coda da castoro che gli spuntava da dietro.

    La creatura gli spiegò tutto, e la faccenda iniziava a fare un po' di senso alla ragazzina: non si trovava più sulla terra, ma bensì in una dimensione parallela. Per essere precisi, Bnyavermon, quello era il nome della palla di pelo, disse che si trovavano in una dimensione di prova, una specie di simulazione all'interno di un mondo Digitale, e che lei era appena diventata uno dei tre umani scelti per un esperimento.

    Indecisa se credere o meno a quella creatura, Zoey iniziò a vagare tra le alte dune, in cerca di qualcosa, ma avrebbe solo trovato sabbia, e ancora più sabbia.

    Fino a quando, all'orizzonte, vide una grande oasi, e, nella direzione opposta, una pozza di sangue.

    Era gigantesca, quasi era più grande dell'oasi stessa. Sembrava come palpitare, sotto il sole, ribollire, come un grosso pentolone.

     
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